Negli ultimi anni si parla frequentemente di omosessualità, di orientamento sessuale e di identità di genere. Sempre più spesso mi contattano genitori che hanno scoperto l’omosessualità del/la figlio/a e che non sanno come gestire la novità. In particolar modo negli ultimi tempi sembriamo assistere ad un aumento dell’omosessualità femminile, che ha aperto ad infinite considerazioni circa la figura del “padre assente”. Nel seguente articolo non è mia intenzione approfondire tali teorie, quanto piuttosto offrire una riflessione che possa accompagnare i genitori che si trovano a vivere questa nuova esperienza.
L’omosessualità di un figlio e la reazione dei genitori è argomento delicato da sempre: già nel 1935 Freud rispose alla lettera di una madre che gli aveva chiesto aiuto per il figlio gay con le seguenti parole:
“Non c’è nulla di cui vergognarsi. Deduco dalla tua lettera che tuo figlio è omosessuale. Sono molto colpito dal fatto che non utilizzi questo termine quando dai informazioni su di lui. Posso chiedere perché lo eviti?” continua Freud. “L’omosessualità non è di certo un vantaggio, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, non è un vizio, non è degradante, non può essere classificata come una malattia, riteniamo che sia una variazione della funzione sessuale, prodotta da un arresto dello sviluppo sessuale. Molti individui altamente rispettabili di tempi antichi e moderni sono stati omosessuali, molti dei quali sono stati grandi uomini1”.
Freud non considerava l’omosessualità come una patologia, bensì affermava da tempo che tutti nascessero bisessuali e più tardi si orientassero verso l’etero o l’omosessualità.
Negli ultimi anni l’età del coming out (il momento in cui la persona afferma pubblicamente la propria omosessualità) è frequentemente anticipata alla fase dell’adolescenza. Tale fase è già di per sé caratterizzata da una grande confusione circa la propria identità come persona, nonché circa le proprie emozioni. Spesso per questo motivo molti ragazzi non vengono “creduti” dai genitori circa il proprio orientamento sessuale. Tale disconferma sottende spesso il bisogno di negare l’evento da parte dei genitori stessi.
Ogni persona giunge alla consapevolezza del proprio orientamento sessuale quando è pronto, tale anticipazione a cui stiamo assistendo attualmente è semplicemente frutto del fatto che oggi i ragazzi sono maggiormente informati rispetto al passato, possono spesso contare su una rete sociale anche virtuale, che permette loro di sentire un senso di appartenenza necessario per uscire allo scoperto nella vita reale.
In passato le persone omosessuali hanno negato a lungo, alcuni anche a se stessi, il proprio orientamento sessuale per paura del rifiuto della società e dell’isolamento.
Le famiglie, una volta informate dell’omosessualità del proprio figlio/a, possono avere diverse reazioni, non di rado entrano in crisi come spesso accade di fronte ad ogni cambiamento che coinvolge il sistema-famiglia.
Durante il mio lavoro con i genitori è emerso spesso che tale scoperta in realtà è qualcosa che essi hanno sempre saputo, ma affrontare l’argomento direttamente con i figli risulta troppo complesso. Ogni famiglia vive l’evento in modo diverso e necessita del suo tempo di elaborazione.
Nelle famiglie particolarmente sensibili agli stereotipi e ai luoghi comuni sull’omosessualità, ho riscontrato frequentemente forti vissuti di rabbia nei confronti del figlio a causa del dolore che stanno provando, oppure si colpevolizzano del suo orientamento sessuale e tentano in vari modi di “curarlo”, magari proponendogli la conoscenza di potenziali partner di sesso opposto, o cure psicologiche.
Queste reazioni sottendono entrambe il senso di impotenza che sperimentano i genitori ed il loro tentativo, attraverso un capro espiatorio a cui attribuire “la causa” dell’evento, di recuperare il controllo della situazione. Ricordiamo che spesso l’impotenza spaventa e le persone tendono a “ripotenziarsi” attraverso emozioni forti come la rabbia.
Invito sempre i genitori a rintracciare sotto quella rabbia le emozioni più profonde che stanno provando ad evitare, cioè la paura e la sofferenza: spesso tali emozioni accomunano i genitori ai figli, permettendo alla famiglia di risintonizzarsi e ritrovarsi insieme in un momento in cui sembrano non riconoscersi più. I genitori sentono di non conoscere più il figlio ma anch’esso sente di non conoscere i suoi genitori, dai quali magari non si sarebbe aspettato una reazione negativa. I genitori possono aver paura di accettare un figlio diverso dalle loro aspettative, mentre i figli possono aver paura di non essere da loro accettati.
Il rifiuto dei genitori sottende anche la paura della vita che attende i loro figli: nonostante si faccia un gran parlare di accettazione, di educazione al rispetto di ogni identità di genere, ciò a cui assistiamo continuamente sono atti di rifiuto, aggressività, oserei dire spesso di razzismo. A tal proposito molti genitori mi riportano frequentemente di aver paura che i loro figli possano essere oggetto di bullismo e discriminazione.
Inoltre, nonostante oggi ci si stia aprendo alla genitorialità delle coppie gay, tale possibilità è oggetto di numerose controversie, pertanto molti genitori temono che l’omosessualità dei figli precluda loro la possibilità di diventare a loro volta genitori e di avere dunque una propria famiglia. Ciò sembra essere ancora più intenso quando si tratta di una figlia.
Vorrei sottolineare al riguardo l’interessante fenomeno per il quale sembra che solo nell’ultimo decennio si parli di omosessualità femminile, come se questo fosse un fenomeno scollegato al concetto di omosessualità in generale. Oggi le ragazze lesbiche si ritrovano quasi a dover fronteggiare ex novo le battaglie che i ragazzi omosessuali hanno affrontato negli anni 2000, con la stessa negazione da parte della società, la stessa rabbia da parte dei pare e una lotta continua per far valere il loro diritto di amare, anche all’interno della propria famiglia (impossibile dimenticare il recentissimo caso di Malika Chalhy, cacciata di casa dai genitori dopo aver fatto coming out!). Temo che questo indichi quanto la nostra società non fosse ancora pronta a considerare che anche una donna possa innamorarsi di un’altra donna, a prescindere dal suo senso di maternità e dal suo ruolo biologico.
A proposito di ruoli, quello dei genitori è un ruolo molto delicato che richiede costantemente di crescere insieme ai propri figli: bisogna imparare ad essere genitori di un neonato, poi bisogna imparare ad essere genitori di un bambino di 6 anni, poi di un adolescente e così via.
Accettare l’omosessualità di un figlio o di una figlia è ancora una sfida irrisolta e difficile da affrontare per molti genitori ma questi ultimi possono imparare ad essere genitori di un figlio gay.
Il primo passo dovrebbe essere ad esempio quello di documentarsi bene sull’argomento, evitando comportamenti impulsivi, dettati dai pregiudizi e dalla scarsa informazione. L‘elaborazione di un evento inizia dalla conoscenza dello stesso!
Consiglio sempre ai miei pazienti di dare spazio alle proprie emozioni: in particolare, come già evidenziato, sotto la rabbia e la colpa iniziali spesso si celano sofferenza e paura. Sono queste le emozioni a cui bisogna dare voce per poterle superare.
Ascoltandosi ci si apre alla possibilità di ascoltare anche i propri figli: anche se è una situazione difficile da affrontare lo scambio è necessario per raggiungere un benessere familiare.
Inoltre è importante cercare di mostrare rispetto per i sentimenti che provano i figli.
I genitori a volte tendono a minimizzare l’evento, affermando che gli adolescenti sono troppo piccoli per avere già certezze così grandi circa se stessi; tale affermazione purtroppo aumenta la confusione provata dai figli e rischia di portare questi ultimi ad agire (a volte anche con gesti forti) pur di affermare la propria condizione. Nel mio lavoro “accompagno” dunque i genitori “nell’accompagnare” i figli nella scoperta di se stessi, anche se questo può significare a volte dover girare in tondo e tornare mille volte sulle stesse posizioni per osservare le cose in modo diverso.
Ricordiamoci sempre che la rigidità, di fronte al cambiamento, non permette mai di riconoscere il proprio contributo nelle cose, bensì fa vivere tale cambiamento come qualcosa di inevitabilmente subito.
1La lettera è attualmente esposta a Londra nell’ambito della mostra alla Wellcome Collection.